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bastava la maraviglia; un senso di gratitudine seguì prontamente, e la fanciulla saltò con impeto dì allegrezza infantile al collo del babbo.

— Non ringraziar me; — disse allora il signor Demetrio; — è stata un’idea di Virginio. È nuovo, mi capisci? è un pianoforte nuovo di zecca.... Cioè, che diavolo dico? nuovo di fabbrica. C'era quello dell’esattore; un’ottima occasione; e si poteva avere per cinquecento lire, essendo l’esattore di partenza e volendo disfarsene. Ma il nostro Virginio è un grande aristocratico. La tastiera, ha detto lui, deve essere vergine; si spenda quel che bisogna, ma il pianoforte sia nuovo. Tanto nuovo, bambina mia, che s’è fatto venir da Parigi, e mi costa un migliaio di lire. —

Quella confessione del signor Demetrio ottenne un bel sorriso di Fulvia a Virginio Lorini. Egli lo meritava, quel premio; ma lo accolse facendosi rosso come una fragola montanina. E quel giorno, poichè la signorina Fulvia era tornata a casa, egli non voleva pranzar più a tavola col suo principale.

— Che! che! — gridò il signor Demetrio, inalberandosi. — Stiamo a vedere! Questa è nuova, di zecca, stavolta!

— Scusate, signor Demetrio.... — rispondeva Virginio. — Pranzavo con voi, alla vostra ora, per tenervi compagnia. Ma adesso non siete più solo. —

Il signor Demetrio non la intendeva per quel verso.

— Fammi il piacere! — ribattè. — Fammi il piacere! Diglielo tu, Fulvietta; cioè no, non andiamo contro la volontà di quella santa donna; diglielo tu, Fulvia, che è matto.

— Mi guarderò bene dal dirgli così; — rispose Fulvia, ridendo. — Ma il signor Virginio ci farà tanto piacere a pranzare con noi. Non voglio esser tornata a casa per cambiarci la più piccola cosa; figuriamoci poi questa, che è una buona abitudine.