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male, confusamente guardando, confusamente ammirando, e più confusamente balbettando alcune frasi sconnesse. Un bel fior d’allegrezza si era schiuso quella mattina nel cuore di lui, presentendo l’arrivo della cara bambina, della dolce scolara, della pupilla de’ suoi occhi. Ma il bel fiore si richiuse tosto all’apparire della signorina Fulvia, della aristocratica personcina, sogguardante attraverso le mal rilevate pieghe del velo di seta grigia, che involgeva le falde capricciose del suo cappellino di paglia.

Povero fiore selvatico! A quella gloria di luce che passa su lui, può guardarsi dattorno e riconoscersi un po’ meglio che non facesse da prima: vede allora le sue foglie troppo umili e scabre, il suo cespo troppo ruvido, non bene ancora liberato dai seccumi della cattiva stagione, la sterpaglia troppo ispida e troppo fitta, in mezzo alla quale egli è nato e cresciuto. Perchè mai il bel raggio di sole si fermerebbe a guardare la sua oscura miseria campestre! Ai nobili giardini, alle aiuole ben disegnate, alle piante ben governate, ai rami ben cresciuti, alle foglie ben disposte in artistica pompa di svariati colori, si addice il bel raggio del sole!

Dato il tempo necessario alle paterne accoglienze e ad uno spuntino che permettesse alla viaggiatrice di aspettar l’ora del pranzo, Virginio non seppe far altro che condurre la signorina Fulvia a vedere tutti i cambiamenti e miglioramenti che erano stati fatti nel Bottegone durante l’assenza di lei. Il Bottegone era la maraviglia di Mercurano, la gloria di casa Bertòla e di tutti coloro che avevano l’onore di servirla. Ma egli sentiva bene, facendo gli onori di casa, che tutto ciò non dovesse premere poi molto alla signorina Fulvia, e procedeva sommariamente nella sua breve rassegna.

Dopo tutto, non erano cambiamenti notevoli: c’era soltanto una distribuzione più razionale; donde il fatto che ci fosse più roba, contenuta nel medesimo spazio di prima, e si vedessero meglio divise le mostre. L’oreficeria era rimasta