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vacanze, più niente; perchè in verità è come niente una stretta di mano. Quando poi la fanciulla ritornò in famiglia, per non muoversi più (si poteva dirlo che non avesse a muoversi più?), Virginio fece un inchino cerimonioso; la stretta di mano fu a mala pena accennata, da un lievo contatto di dita, ancora attenuato e smorzato dalla buccia ruvidetta e gelosa d’un guanto di Svezia.
Sire Iddio, che bella figura, snella flessuosa, già formata, trionfante di tutte le grazie, e in vista ancora acerba, come una ninfa antica nel primo fiore della sua gioventù, istante divino della bellezza nascente, che il genio ellenico ha colto, eternato nel marmo di Fidia e nel verso di Omero! Era lei, nondimeno, ancor lei; ma con un certo che di nuovo, da ricordare il frutto maturo sul ramo, e tuttavia cosperso del suo resinoso polviscolo, che vela, senza nasconderlo, il buon colore della crescenza compiuta. Un’aria aristocratica che poteva essere di pudore e pareva durezza, si effondeva dal viso, dagli atti e da tutta la persona di lei. Impacciata e contegnosa ritornava alla casa sua, come ci si ritorna dopo tanti anni d’assenza, che a tutta prima par quasi di esserci stranieri, anche per coloro che ci abbiamo lasciati ad attenderci; ed essi, gli amici buoni del tempo andato, essi che tante volte ci han fatto ballare sulle loro ginocchia, essi medesimi hanno ritegno a toccarci: tant’acqua è corsa di mezzo, raffreddando e gelando gl’impeti subitanei del cuore che vorrebbe prorompere alle antiche dimostrazioni d’affetto. Ma che farci? Sono due parti di un tutto, che s’incontrano dopo essere state a lungo disgiunte, nè più combaciano per ogni punto della loro superficie, o, se pure si collegano ancora, lasciano veder sempre la frattura antica nella saldatura recente.
Il signor Demetrio, beato lui, non badava a queste sottigliezze. Era il babbo di Fulvia: ebbe i timidi baci della figliuola e li ricambiò rumorosamente, senza veder nulla d’insolito in lei. Zuf... ahimè, no, il signor Virginio sì sentì molto