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via via un andamento regolare; tanto che capitavano ogni lunedì. La settimana sì apriva sempre, s’inaugurava coll'arrivo d’una lettera di Lodi. Fulvia scriveva una settimana al babbo, e l’altra a Zuf.... cioè, no, al signor Virgimio Lorini. Appariva un po’ triste, nella sua prima lettera; più rassegnata nella seconda, e lasciava intravvedere che si fosse già bene adattata al suo nuovo genere di vita. Il collegio le piaceva; le maestre, i maestri, le campagne, tutto prometteva di farla felice.

«Sa lei, signor Virginio, che non devo più darle del tu, come facevo prima, e con tanta temerità? Coi maestri bisogna essere rispettosi; e lei è stato un buon maestro per me, il primo che ho conosciuto. Questo mi ha messo in confidenza con lei; ma ora che son lontana, e che proseguo in quest’ottimo collegio gli studi così bene incominciati con lei, sento che alla mia confidenza deve succedere un sentimento di venerazione, pari alla mia gratitudine. Ma sappia che son sempre quella di prima. Dal canto mio non so se il primo giorno che avrò la fortuna di rivederla, riuscirò a stare in cerimonia col mio buon maestro, col migliore amico del babbo. Veda lei di fargli coraggio, al mio babbo tanto caro; gli dica che ho rasciugate le mie lagrime, pensando che collo studio, soltanto collo studio, potrò dargli qualche consolazione. Si studia, qui, si studia molto, ed anche alle sue ore si giuoca, e si fanno delle bellissime passeggiate. Le foglie cadono dagli alberi e lo spettacolo è un po’ triste; ma poi verrà la primavera, e tutto fiorirà, non è vero?

«Scusi, se ardisco darle una piccola noia. Ho dimenticato nel mio scaffale (lo chiamavo libreria, si ricorda?) l’Antologia del Mauri; un libro che mi è tanto caro. È vecchio, e non pare che si usi più: qui non si trova dai librai, ed io vorrei averlo, per tante belle poesie che ci sono raccolte; tra le altre quei versi «Ad una stella» di Lucretia Maria Davidson, tradotti così bene dal Maffei, e che a lei piacevano tanto. Se me lo manda, mi fa una grazia; e più presto me lo