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conservare con tanta cura un così stupido saggio? Seconda elementare, è scritto sulla copia! Ma che seconda? neanche di prima! E Lei è stato molto buono, signor maestro, troppo buono, a non rimandarmi all’asilo infantile. Questa sciocca che si chiama Fulvia «anche lei», si mostra crudele, per giunta, e cattiva come una piccola scimmia. Mi ricordo, del resto.... mi ricordo di quando l’ho scritto, questo orrendo pasticcio!... Lo leggevo a Lei, sghignazzando, come una vera birichina, e poi l’ho fatto in due pezzi. Lei, allora, con la sua aria grave, mi ha detto che non c’era malaccio, per i miei sett’anni; ma che avevo fatto male a servirmi di nomi e soprannomi usati in casa. Credo ancora di aver fatto un’altra copia, mutando i nomi e levando inoltre tutti quei «ci». Non se ne rammenta Lei, signor maestro stimatissimo? —
Virginio rispose con un cenno del capo, ma, senza alzare il volto dalla sponda della tavola. Seguì un istante di pausa, in mezzo a cui si poteva sentire un suono di singhiozzi non potuti frenare.
— Che cattivo uomo siete voi! — gridò ella, appressandosi a lui. — Come serbate il rancore!
— Io? — mormorò egli.
— Sì, voi; dite che non è vero! E poi, e poi... son io la Figlia del Re? Vi sembro io, proprio io, quella vana principessa del vano racconto infantile? Guardatemi!
— Signora, io La prego....
— No, — incalzò ella, avvicinandosi ancora e afferrandogli le mani, per modo ch’egli fu costretto ad alzare la faccia lagrimosa. — Voglio che tu mi dica se son io proprio quella. Guardami, Virginio, lo voglio. Ti pare egli che, se c’era, mai della cattiveria pensata, là dentro, a quella sciocca età di sett’anni.... io non l’abbia pagata ben cara? Ah, vorrei esser davvero una figlia di re, avere avuto in dono dalla buona fata tutte le virtù, tutte le bellezze, tutte le grazie, e dirti oggi: Virginio, mi vuoi?
— Son Zufoletto, io!... — mormorò Virginio, schermendosi.