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puto fare in collegio; — disse Fulvia, interrompendo la enumerazione. — Sa che non ho preso il primo premio per cura di libri e carte di scuola? Anche a Lodi, nei quinterni e nei libri, facevo certi tocchi in penna, che le maestre chiamavano sgorbi; come Lei, si rammenta? A proposito, e dove sono i miei libri dei primi anni?... i miei quaderni?

— Là, nell’altro cassetto. Ma che cosa vuol andare a guardare? — diss’egli, un po’ sconcertato, vedendo che Fulvia apriva dov’egli aveva accennato, un po’ leggermente, pur troppo. — Il meglio è qui; là sono tutti esercizi da bambini.

— Non del tutto, non del tutto; — rispose ella, che aveva adocchiato delle copie. — Ci sono già dei compiti raccolti a mazzo. Seconda elementare, niente di meno! Perchè i posteri non dovessero ignorarlo, ce lo scrivevo a lettere di scatola, sopra il mio riveritissimo nome e cognome, Ah, ah, che brava bambina!... E che cosa è questa copia sciolta?... Sciolta, per modo di dire; — soggiunse; — che veramente è tutta legata e tenuta insieme con sostegni di carta gommata. Mi lasci guardare! Che cos’ha, che non vuol lasciarmi guardare? Stia buono, via, e non me la sciupi, Lei, che l’ha così bene rammendata con tanti pezzettini di carta da francobolli. Doveva essere una copia ben preziosa, per meritar tante cure. Vediamo, vediamo!

— Signora, La prego... Se avessi preveduto.... Lasci stare; è una ragazzata....

— Vedo bene. Son tutte cose fatte da una ragazzina, qui dentro. E questa è mia come le altre, non è vero?

— Sì, sua; ma che cosa vuol leggere, ora?

— Perdoni; se è mia e se mi piace di leggerla, non capisco che cosa ci trovi Lei da ridire. Sia cavaliere, signor Lorini, e mi offra una sedia. Stia cheto, ora: e non parli, se io non la interrogo. Oh sentite un po’ questa! Non vuole che io rilegga la mia prosa. Perchè questa è prosa mia, veramente; e se non sarà robusta, tanto peg-