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— Ebbene? com’è andata?

— Ebbene, che cosa ti debbo dire? che è in gabbia? C’è pur troppo, e ho dovuto lasciarcela. Ma ti assicuro io che avevo una gran voglia di riportarmela via; e due volte, uscito di là, per la gran via solitaria che mette alla stazione, son ritornato indietro col proposito di ripigliarmela. Com’è vero Dio, non credevo di soffrirci tanto.

— Ve lo credo, signor Demetrio, ve lo credo; — rispondeva Zufoletto, col singhiozzo alla gola.

— Anche tu soffri, Virginio? Hai ragione; ed io me lo immaginavo, andando laggiù. L’ho detto anzi parecchie volte in treno alla piccina: il tuo maestro a quest’ora piangerà come un vitello da latte. Ed io per bacco, non canzono neppur io. Eravamo così male avvezzati, con quella cara creatura! Ah, che malinconia, Virginio, che malinconia vuol essere al Bottegone! Io già non mi ci posso più vedere; come quando è mancata quella santa donna! Non va, ti dico, non va; una donna in casa, sia vecchia, sia giovine, ci vuole ad ogni costo, ci vuole. —

Si pranzò male, quel giorno e gli altri appresso. Virginio (da un pezzo il signor Demetrio non lo chiamava più Zufoletto) Virginio aveva l’uso di pranzare da solo; non già, come ai primi tempi, per la sua condizione di fattorino, ma oramai per necessità di servizio. A un’ora pranzava il padrone, e con lui naturalmente, la figliuola; a un’altra il segretario, perchè i commessi di negozio non restassero mai senza la debita vigilanza. Ma dopo il ritorno del signor Demetrio dalla triste impresa di Lodi, rimanessero pure senza vigilanza i commessi, il signor Demetrio non voleva pranzare da solo, e Virginio doveva tenergli compagnia. Per altro, non durava molto, quel pranzo: in venti minuti si mandava giù tutto, con grande rovello di Marietta, la cuoca, a cui non si rendeva giustizia.

— Madonna santa! — esclamava la buona donna. — Non hanno neanche il tempo di sentire il gusto alla grazia di Dio. —

Finito il pasto, il signor Demetrio infilava l’u-