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— È una bella parola; — ripigliò la signóra.

— Ed è contento così?

— Certamente; — replicò egli.

Ma era diventato un po’ troppo pallido, dicendolo, e subito dopo un po’ troppo rosso; scherzi del sangue, che non si vergogna di tradire i sentimenti più celati del suo ospite e signore.

Fulvia era rimasta pensosa, osservandolo. Tante cose le diceva quel cangiar di colore, che ella non amò proseguire una conversazione, la quale certamente avrebbe detto assai meno. Ma il giorno seguente la pietosa signora (pietosa a modo suo, si capisce, e col suo solito piglio d’autorità) ebbe modo di ritornare all’assalto.

— Mi fa piacere di dirmi, perchè, avendo così poco lavoro, non approfitta delle sue ore d’ozio per fare un po’ di moto? È vita la sua, di star tutto il santo giorno in casa? Perchè non passeggia?

— Non ne ho bisogno; — rispose Virginio. — Mi par poi di passeggiare abbastanza.

— Già, infatti, lo vedo; — notò Fulvia, con un risolino sarcastico. — Salottino e divagazioni sul libro maestro; poi gran camminata, gran marcia di resistenza, da una bottega all’altra; finalmente quei viaggi di cento miglia al minuto.... negli otto metri quadrati della sua camera.

— Badi, son ventiquattro; — disse Virginio, cercando di mettersi sul medesimo tono. — Deve moltiplicare la lunghezza per la larghezza; sei via quattro, ventiquattro.

— Davvero? Per un campo di corse, non c’è male.

— Signora mia, per un luogo di meditazione è fin troppo.

— Verissimo; e dica.... per caso, ci si chiude a scrivere un’opera?

— Non mi ci chiudo mai. Può andarci a vedere; c’è sempre la chiave di fuori.

— Ma non ci saranno dentro quelle dei cassetti, m’immagino.

— Certo, le tengo io, per custodia; ma le posso dar sempre; — rispose Virginio. — Vivo in