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leggono rendiconti parlamentari, e non giuocano in Borsa. Iddio li benedica, e confonda i loro nemici che son sempre lì colla licenza e col licenzino, colle aperture di caccia da anticipare, coi termini da prorogare, come se la vita fosse fatta per dar noia a chi vive.
Virginio Lorini sentiva la primavera a suo modo, senza inni, senza tripudii esteriori, lavorando sempre, ma lavorando un po’ meglio. Chiuso in sè stesso, secondo il costume, appariva tuttavia più sereno. Così un bel lago alpino, sotto il vigile occhio del sole, muta le sue ombre verdognole in placidi strati d’azzurro, a mano a mano che il grand’astro procede nel suo corso, visitandone i più cupi recessi. Lavorava, e lo stavano tutti ad osservare, quasi pendendo da lui. Senza volerlo, senza saperlo, era diventato il domestico iddio di quel luogo; stesse ritto ed immobile davanti al leggìo del salottino, segnando numeri nel libro maestro, o andasse di qua e di là per le stanze del Bottegone, impartendo con voce calma e misurata i suoi ordini, era l’idolo rispettato e venerato da tutti. Ognuno, là dentro, aveva i suoi dispiaceri, le sue afflizioni, le sue diseguaglianze d’umore; egli no, sempre quello, temperato negli atti e nei discorsi, attento, diligente, cortese, infaticabile sopra tutto al lavoro. E quasi pareva che nessuno lavorasse là dentro, vedendo lui, così assiduo; mentre ognuno aveva per lui, anima e braccio di casa Bertòla, lo sguardo profondamente benevolo, nella sua stessa benevolenza rispettoso e devoto.
Il signor Demetrio, ogni giorno, prima di appisolarsi su quel tal canapè, riapriva un occhio per dargli una sbirciatina. «Eccolo lì, diceva tra sè, eccolo lì quel prodigio di ragazzo, quel diamante, quella perla di casa mia! Ma parla, che Iddio ti benedica, parla dunque una volta! Chi sa mai, chi riesce a indovinare quel che tu pensi? Basta, fa un po’ a modo tuo; chi si contenta gode.»
I bambini facevano meno chiasso quando passavano accanto al salottino, dove il signor Vir-