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nostro mondo e negli altri. Per non uscire dal nostro, vedete come è bella nel ritmico alternarsi dei flussi e riflussi, nel ritorno della luce e delle tenebre, nell'avvicendarsi delle stagioni, così invariabili nei loro periodi, come il corso del sole da levante a ponente, o, se meglio vi piace, come il girar della terra da ponente a levante. Quel giorno che il sole non apparirà più da levante, io dirò che il mondo va male; fino a quel giorno penserò che va bene, e solo avverrà che io non lo dica, per non urtare i nervi a tanti malinconici che voglion tingere col nerofumo dei loro dispiaceri l'opalino dei cieli, l’azzurro dei mari e il verde dei prati; bei colori che rallegrano il cuore e, sia detto qui tra noi, che nessuno ci senta, aiutano a far dimenticare l'umanità. Dimenticarla, dico, e non mi voglio disdire, essendo quello il modo migliore per non prenderla in uggia.

Una bella primavera arrideva alla campagna di Mercurano. Cantavano e tripudiavano al cielo tutte le cose rinascenti e risorgenti, dai colli e dai piani. Bisognava sentire di notte, che musica! I rosignuoli replicavano ad intervalli le poderose cavatine, ingemmate di gorgheggi, di trilli, di fioriture d’ogni maniera; l'assiuolo, cheto cheto, di là dal fiume, mandava il suo monotono chiù, per dire ai contadini: rallegratevi, che il freddo è finito; il passero solitario, dal fondo del macchione, faceva il suo bel verso malinconicamente soave, dolce carezza d’amante trasformata in dolcissimo suono, mentre i grilli cantaiuoli, usciti a mezzo dalla buca, frignavano sommessamente ai leprotti, che nel bianco d’una radura facevano le capriole ad onore e gloria della luna piena. Filosofi tutti e poeti, quegli animali, le sono rimasti più fedeli di noi che ad ogni tanto siamo presi da morbose antipatie per la candida Cinzia, seguente il nostro globo nello spazio, con un affetto ch’egli forse non merita. Ah, i rosignuoli! Ah i leprotti, e tutti gli altri animali del buon concerto campestre! Non s’impicciano di grandi problemi, nè di piccoli, non