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con quanto dolore. Me ne andrò nuovamente; e voi mi renderete giustizia, signor Demetrio, me la farete rendere da tutti coloro che hanno veduta la vostra contabilità, che io ero ritornato per i vostri interessi, ridotti a mal partito dalle altrui malversazioni.
— Oh fammi il piacere! — proruppe il signor Demetrio, che già due volte aveva tentato di interromperlo. — Fammi il piacere di rimetterti in tasca il tuo biglietto di partenza e la tua domanda di giustificazione. Non ci mancherebbe altro che per due lingue d’inferno tu mi abbandonassi una seconda volta. Povero il mio Bottegone, lo vedrei molto brutto. No, no, mi capisci? Ti ho in mano, e ti tengo. Te ne sei andato con dolore una volta? Ti ringrazio di avermelo confessato. Questo dolore non lo avrai più; dicano le lingue d’inferno tutto quello che vorranno e potranno.
— Ma allora niente separazione; — rispose Virginio. — Ma allora niente ricorso al tribunale.
— O perchè?
— Perchè.... vi prego, vi supplico, non fate nulla. Signora contessa, io mi rivolgo a Lei, colle mani giunte, e la scongiuro di desistere. Ci sarà tempo, ho detto. Mi conceda due mesi, un mese, almeno; poi farà quel che vorrà.
— Che cosa può accadere, in un mese che debba mutare le nostre risoluzioni? — disse Fulvia, colpita da quelle parole. — Che cosa sa Lei?
— So molto, sì, so molto; e non è che io non voglia dire; non devo e non posso.
— Ma noi possiamo capire; — ribattè la signora. — Lei tenta ancora qualche cosa, che a me non piacerà, che non mi potrà convenire, l’avverto.
— No, non tento più nulla; — gemette Virginio. — Ho tentato, piuttosto, ho tentato d’impedire.... qualche cosa che veramente metteva il colmo alla misura. Ho perfino mandato del denaro al conte; io, sì, io, signor Demetrio; e non mi fate gli occhiacci, perchè gli ho mandato del mio. Egli non lavora in Borsa, laggiù, come sento