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— No.

— Allora, mia cara, è come mandarmi via, te ne avverto.

— Oh Dio! — esclamò Fulvia seccata. — Se solo a questo patto debbo aver pace, sia pure come volete.

— E sia; — ribattè la contessa Sferralancia, alzandosi di scatto. — Vo’ farci un crocione. —

Ciò detto, se ne andò via furibonda, non voltandosi più indietro, e giù a pian terreno non degnando neanche d’uno sguardo i bambini, che rientravano allora con la bambinaia dalla loro passeggiata.

— Ma che cosa ho fatto io a quella donna? — gridò Fulvia, contorcendosi dallo spasimo. — Ho accettato il suo Spilamberti; non è contenta? Ho sacrificato la mia dignità, la mia pace; ho contristato per sempre un nobile cuore; ho levato forse dieci anni di vita al mio povero padre.... Dovrei finire di ucciderlo, per i loro capricci? No, davvero; e bisognerà finirla piuttosto coi loro tentativi, finirla una volta per sempre. —

Abbracciati i bambini, mandò a cercare suo padre, volendo discorrer con lui. Anche il signor Demetrio era curioso di sapere che cosa fosse venuta a sfringuellare la contessa Sferralancia.

— Sentiamo; — diss’egli; — che colpi ti ha sferrato? che lanciata ti ha data la tua cara madrina? Mi pare, alla tua cera stravolta, che non t’abbia mica risparmiata. —

Fulvia non istette a parlare del più e del meno; gli narrò tutto, brevemente, sorvolando sulle impertinenze, ma calcando sulle notizie che aveva raccolte.

— Ed ora — conchiuse — non mi pare che ci sia tempo da perdere. Voglio la separazione, e bisogna trovare la via più spedita. Non pare anche a te?

— Figùrati se non mi pare! Ho già detto che per me sarebbe come andare a nozze. Ma c’è quell’altro che seguita a dire di no.

— Quell’altro! Chi?