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so risolutamente un «aut aut». O prendere per la fanciulla una dama di compagnia; che, dopo tutto, lo stato di fortuna del signor Bertòla permetteva queste grandezze, e l’ingegno della bambina meritava ogni sacrifizio: oppure.... Oppure, che cosa? Ma sì, bisognava bene affrontare la difficoltà, prendere il toro per le corna. Non già per lui, che certi grilli non li aveva in capo, nè per far torto alla buona memoria di quella santa donna della signora Giuditta; ma infine, per amore di quella povera figliuola, una seconda madre non era forse necessaria?

Una seconda madre! che discorso era quello? Le mamme son mamme, e le matrigne son cagne. Questo proverbio il signor Demetrio lo aveva imparato dai suoi vecchi. E su quel punto, poi, al principale teneva bordone il segretario; anzi, andava più in là. Una seconda moglie al signor Demetrio! per dargli altri figli? e per trattar male il suo angelo bello? Ah no, mille volte no; e si levasse pure quel primo corno al dilemma.

Quanto all’altro, peggio che andar di notte. Ma che, si faceva celia? Una dama di compagnia in casa Bertòla! una istitutrice! Una bestia, novantanove volte su cento, che non ha potuto nè saputo vivere in casa sua, che sente il bisogno di correre il mondo, funestando le case degli altri, non già per insegnare la lingua sua, che conosce per pratica e non sa mai per grammatica, ma solamente per imparare la lingua degli altri; una rabbiosa spigolistra, o una sciocca fantastica, tutta gonfia della sua dignità, piena di pretese, sempre ignorante della giusta misura, una testimone importuna di gelosi segreti, una giudichessa arcigna di tutte le piccole debolezze a cui non partecipa, a cui non saprà mai compatire, una svenevole romantica o una pedantesca uggiosa, un carnefice in gonnella e sempre atteggiato a vittima, un vampiro sempre inteso, nella migliore ipotesi, a succhiarvi l’affetto della bambina cara, ad ispirarle un amore che non è quello della casa, perchè dalla casa non viene e dalla casa non si nutre; no, no, die-