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Se fossi un cavaliere, sarebbe questo il mio motto, e vorrei farmelo scrivere sullo scudo.

— Pazzo, ti ho detto; — gridò il signor Demetrio; — gran pazzo!

— Chiamalo gran savio; — entrò a dire la contessa, che in quel mentre appariva sull'uscio della sala da pranzo. — E Lei è, signor Lorini, il più leale degli amici, il più nobile degli uomini.

— Oh stelle! — gridò il signor Demetrio, con tragicomico accento. — Ecco mia figlia sul cavallo d’Orlando. Anche tu, cara, coi tuoi nobili e coi tuoi stemmi....

— Lasciali dormire, babbo; — ripigliò Fulvia, rabbuiandosi in volto. — Se ho commesso un errore, non è giusto che io ci perseveri. —

Virginio Lorini, per dirla con una frase del signor Bertòla, conosceva il Bottegone come la palma della sua mano. In tre giorni d’indagini, di confronti, di computi, ebbe chiarito lo stato delle cose ed anche accertata l’entità dello sdrucio, Mancavano in cassa ventisei mila lire; una bella sommetta, ma che non lo impensieriva affatto. Ben altro aveva egli temuto da principio.

— Con ventisei mila lire, — pensò egli, — il signor conte Spilamberti vuole andar poco lontano. —

Assai meno lontano lo avrebbe lasciato andare il signor Demetrio Bertòla, a cui quelle ventisei mila lire perdute così scioccamente davano più cruccio che non le duecento sessantamila andate in malora, tra dote e soccorso straordinario. Se avesse potuto fare a suo modo, certamente il procuratore del re sarebbe stato avvertito di tutto. Ma il suo segretario era là per dissuaderlo; non venendone a capo da principio con le buone ragioni, ma ottenendo finalmente l’intento con un classico proverbio: «a nemico che fugge, ponte d’oro».

— Sicuramente, — disse il signor Demetrio, — quel tuo greco ha consigliato bene. Imitiamo dunque il tuo personaggio antico, e lasciamo che quest’altro Serse vada a farsi impiccare altrove. —

Tutto si rimetteva in ordine al Bottegone, e