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si cereo nel volto; ma con un’aria da gran signore, che a lui piaceva anche meno del pallore e della magrezza. Mai, mai più, quel piccolo milord si sarebbe adattato a ritornar segretario del Bottegone.
— Ti avevo scritto; — gli disse tuttavia, dopo averlo abbracciato, — ti avevo scritto per pregarti....
— Male, signor Demetrio; — rispose Virginio, interrompendogli la frase; — potevate e dovevate comandarmi. Eccomi ad ogni modo; appena ricevuto il vostro biglietto, son corso. C’è da lavorare? Sono il vostro uomo; sempre quello che voi avete raccolto ventidue anni fa, educato, nutrito, tirato su, fatto uomo. Vi ho ben detto ogni cosa? E non posso pretendere da voi che mi comandiate, scambio di pregarmi, come vi è saltato in mente di fare?
— Ah, mi consoli; — gridò il signor Demetrio, abbracciandolo ancora; — come è vero Dio, mi consoli. Saprai a quest’ora....
— Sì, molte cose; — rispose Virginio. — Dalla stazione in qua ho avuto i primi ragguagli, ma anche prima dei ragguagli avevo avuto i sospetti, e più che i sospetti, gl’indizi. Vengo da Milano...
— Non da Modena?
— No, a Modena ero stato; poi ero tornato indietro ed ero andato a Milano, Laggiù, — soggiunse Virginio, abbassando la voce, — ho veduto il signor conte.
— Oh senti! non è dunque andato a Bologna come diceva?
— Pare di no; — riprese Virginio. — Era a Milano, ed avviato a Torino. Questo, poi, l’ho immaginato, osservando l’ora della partenza sua, e il treno a cui era avviato.
— Non gli hai dunque parlato?
— Io! a lui? Figuratevi! Del resto, gli avrei dato noia, perchè non era solo.
— Ah, con donne, al solito?
— Con una almeno; ed anche quella fu molto seccata di vedermi là, come l’ombra di Banco.... o del banco. Non badate, signor Demetrio; —