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più, non son più di moda; il nostro denaro, è quello che cercano; della nostra dote son tanto desiderosi. Ah, creda, è proprio una disgrazia oramai, nascer ricche! —
Lasciamo lagnarsi la signorina Arpalice, e tenerle bordone coi gesti e coi monosillabi la signorina Clorinda, che non osava fiatare, essendo sorella minore e dovendo riconoscere il diritto di quell’altra, come va fatto in ogni famiglia ben governata. In verità, la signorina Clorinda, sorella minore, rimpiangeva le sue cinquantadue primavere, sacrificata a dir sempre fiat voluntas tua alle cinquantacinque della sorella maggiore Arpalice. Arpalice! anche voi, se un giorno vi si fosse presentato un conte Spilamberti, un po’ leggero di borsa, ma non storpio, nè gobbo, nè guercio, come tutti gli invalidi che si fecero avanti per un periodo di otto o dieci anni, dite, non avreste portato il voto a S. Antonio?
Due giorni dopo tutte quelle noiose conversazioni e condoglianze, un calesse si fermava davanti al Bottegone. Il signor Demetrio che aveva finito allora allora di pranzare e già si disponeva a scendere nel salottino per farci il sonnellino della digestione, non ebbe bisogno di affacciarsi alla finestra fra Dante e Michelangelo, per sapere chi smontasse a casa sua. Clamori di piazza, a cui si aggiungevano ben presto clamori di bottega, indicavano abbastanza il viaggiatore arrivato in quel punto. Il signor Virginio! si gridava d’ogni parte. Il signor Lorini! il nostro Virginio che torna!
Demetrio Bertòla si sentì venir meno, come una bella donnina nervosa. Compatitelo, e non gli dite che questa era nuova di zecca. Nessuna donnina nervosa aveva mai aspettato con ansia più viva il ritorno di un cavaliere prediletto.
— Son qua: — disse Virginio, apparendo sulla soglia della stanza, seguito da uno dei commessi, che portava le sue valigie.
Quanto mutato da quello di prima, quel benedetto ragazzo! Il signor Demetrio lo vide un po’ dimagrato, per verità, più pallido dell’usato, qua-