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a quel modo. Ma più ancora che commentare, si compativa. Siamo tutti così felici di poter compatire una volta la gente che credevamo di dover solo invidiare!
Da quella ondata di compassione si lasciavano sollevare e trasportare perfino le sorelle Cometti. Non conoscendo Fulvia altrimenti che di vista, osarono andare a farle una visita. Fulvia si maravigliò un poco di quell’atto; ma intese di non poterle respingere, e le accolse con dignità. Non si lagnava di nulla, lei; ma non poteva impedir loro di toccare il doloroso argomento che era il discorso di tutto il paese.
— Ah, è un’infamia, creda, è un’infamia! — ringhiava la stizzosa Arpalice, che parlava sempre per sè e per la sua sorella minore. — Una donna così bella, savia, costumata, nobilmente educata come Lei vedersi abbandonata, tradita, assassinata a quel modo! Trecentomila lire divorate!.... Ma è un mostro, quell’uomo; se lo lasci dire, è un mostro e per tutta Mercurano non è che una voce contro di lui. So bene, immagino che Le dispiacciano questi discorsi; e in altre circostanze noi non avremmo osato mai venirla a tediare coi nostri ragionamenti. Ma qui c’è un caso strano, inaudito, e tutte le persone oneste devono sentire il bisogno di portare la loro parola amica, di venire a far causa comune colla famiglia Bertòla. Noi donne, poi!... Se non ci sosteniamo tra donne, chi ci vorrà sostenere? Ah, li conosco ben io, i signori uomini! Si figuri, anche a me, come a mia sorella Clorinda....
— Già; — soggiunse Clorinda, corroborando della sua testimonianza il discorso della sorella maggiore.
— Anche a me, come a lei, — rincalzò la signora Arpalice, — si son presentati i partiti. Per un pezzo niente li ha disanimati; venivano sempre all’assalto. Ma noi, se lo immagina, noi sempre più dure. Perchè tanto accanimento? dicevamo tra noi. Non siamo già più belle di questa, o di quella, o di quell’altra: e del resto certe romanticherie, passioni, furori, non s’intendono