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sciato nella cassa del Bottegone. Già si era saputo a suo tempo della catastrofe di Roma, della dote mangiata e non debitamente assicurata, perciò sfumata nella vendita dei beni di Modena, che non eran bastati neanche a pagare del suo credito la Banca Agraria. Ah, le Banche, le Banche! dove hanno la testa, coloro che le amministrano?
— Dato e non concesso che l’abbiano; — sentenziava qui, molto giudiziosamente, l’avvocato senza cause, che rallegrava Mercurano della sua dotta persona.
Anche a lui, rotto ogni ritegno, si era rivolto per consiglio il signor Demetrio Bertòla, non curandosi più di nascondere i fatti suoi alla gente del paese. Così lo avesse consultato quando si trattava di visitar le carte legali, e in esse lo stato di fortuna del conte Spilamberti! Ma allora si aveva paura di far conoscere le proprie faccende ai curiosi, di dar pascolo alle ciarle di casa Cometti e di altri salotti ugualmente pettegoli. Sciocca paura, che era costata al signor Demetrio una quarta parte, a dir poco, dei suoi lunghi sudori!
L’avvocato Calestani venne di buon grado a portare i suoi lumi; venne un po’ meno volentieri il notaio del luogo, che ricordava troppo di non essere stato richiesto dell’ufficio suo quando s’era fatto il contratto dotale; non mancò neanche all’appello uno della partita dei tarocchi, il bravo farmacista Spertini, quantunque ben vedesse di non avere nei suoi barattoli di maiolica un rimedio che facesse al caso dell’amico Bertòla. E questi ed altri, non venendo a capo di nulla, poterono almeno riconoscere che il signor conte Spilamberti aveva fatto un bel guasto. Riconoscere i danni, non è solamente privilegio delle autorità inquirenti. Così tutto il paese di Mercurano fu presto e largamente informato, potendo anzi credere che il guaio fosse più grave del vero. E si commentava da ogni parte il caso del signor Bertòla, buon uomo, tre volte buono, che s’era lasciato prendere in giro