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dolo alla parete, un piccolo «necessaire» da viaggio, che non aveva voluto aprirsi alle prime, e ne fece schizzar fuori spazzole, spazzolette e boccettine. Ahimè, nessuna cartella al portatore ne uscì. Ma allora il signor Demetrio gridò di voler andare quel giorno medesimo a Parma, per mettere ogni cosa in mano al procuratore del Re.

— Alla reclusione, il signor conte Spilamberti! in galera il signor conte di San Cesario! Alla forca, se ci fosse ancora, per utilità dei popoli! Ah, viva la Francia, che alla sua ghigliottina non ci ha ancora rinunziato. Ma spero che ci vada lui, laggiù, o in qualche altro paese dove l'ordigno è sempre tenuto nel debito onore. Ne farà tante, quel furfante matricolato, ne farà tante, che una le pagherà tutte. —

E avrebbe seguitato, sfogando così la sua rabbia, quel bravo signor Demetrio, che quando cadeva nei giurati votava sempre, per suo criterio invariabile, secondo i desiderii della difesa. Ma la figliuola reputò necessario d’intromettersi, con qualche buona parolina.

— Sì, tutto quel che vorrai; — gli disse. — È il tuo diritto, e l'azione è troppo brutta. Ma sai tu almeno quanto ti manca?

— E come vuoi che lo sappia, benedetta da Dio? Non so più nulla di nulla. Consulto i libri; c’è una partita segnata e l’altra no. Confronto il giornale di cassa col giornale di banco; non c’è caso che vadan d’accordo. Chiama e rispondi! Guardo il registro delle scadenze; non ce ne son di segnate, e Dio sa se non ce ne saranno per questa settimana, o per l’altra. È come trovarsi in un bosco, e di notte. Che rovina! Una azienda che andava così bene, come un cronometro!... Uscirò io, caverò i piedi da questo serpaio?

— Speriamo; — disse Fulvia, tanto per dir qualche cosa.

— Ma che sperare! — ripigliò il signor Demetrio. — C’è da sperare una malattia. Sento che la farò; sento che me ne andrò uno di questi giorni a vedere tutti gli antichi Bertòla. Ma non mi venga tra i piedi uno Spilamberti, non mi ven-