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tando la cassa, verificandone lo stato, si avvide di non averci il conto suo.

E cominciò a sudar freddo. Numerò e tornò a numerare; rovistò cassetti e ripostigli, visitò libri e registri, ripassò molte somme, provando e riprovando, come usava con tanto frutto la famosa Accademia del Cimento, ma non ottenendo, pur troppo, i medesimi risultati di questa. Le somme tornavano, sì, qualche volta; stiracchiandole un poco, si poteva anche credere che andassero bene; ma non si ragguagliavano altrimenti alle valute esistenti in cassa. C’era evidentemente di mezzo una sottrazione; altra, e non la più grata, delle operazioni aritmetiche.

XVIII.

Il povero signor Demetrio aveva cominciato; e così, come aveva cominciato, seguitò a sudar freddo.

     E quale è quei che volentieri acquista,
          E giugne 'l tempo che perder lo face,
          Che 'n tutti i suoi pensier piange e s’attrista....

Cioè, no, non abusiamo della similitudine; il signor Demetrio non piangeva, tanto era rimasto confuso da quella ingrata scoperta. Non voleva ancor credere; continuava a frugar cassetti, a rovistar carte, a contar biglietti di banca. Ce n’erano ancora, di questi, da cinque, da dieci, da venticinque, da cinquanta. Per contro, non ce n’erano da cento; e questo gli parve strano, ricordando egli di averne veduti passare quattro o cinque il giorno innanzi, e più ancora due giorni prima. Che fossero andati in pagamenti di tratte? Ma di scadenze in quei giorni non ce n’erano state. O erano passati in collocamento di denaro? Ma l’ultimo acquisto di rendita era stato fatto venticinque giorni addietro. Proprio venticinque?