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essere stato parecchi minuti a meditare, passeggiando convulsamente in quel piccolo spazio; — avrei da parlarvi. —

Bisogna dargli udienza, e prima di tutto voltarsi. Il signor Demetrio si voltò, guatando con piglio curioso il suo riveritissimo genero.

— Oh guarda, guarda; — diss’egli sarcastico, — ancor io avrei da parlarti.

— Vedete dunque che siamo d’accordo; — rispose sul medesimo tono quell’altro. — Ma non qui, se permettete.

— È giusto; — replicò il signor Demetrio. — Gli usci son cattivi vicini. Andremo su, se ti pare, e nel mio quartierino, dove nessuno potrà sentirci cantare. —

Il conte assentì del capo, e seguì il suocero al pian di sopra. Nell’anticamera i due uomini s’imbatterono in Fulvia, che passava di là, avviata alle sue stanze. Ella vide ed intese che un colloquio solenne era imminente; ma non si scosse, non diè segno di commuoversi. Rispose con un moto lievissimo del capo al saluto forzato, forse involontario e macchinale, che le faceva il conte suo marito, e ricevette con un mite sorriso la carezza di suo padre, che le aveva allungato una pacchina amorevole colla palma discesa, mentre le passava daccanto. Così il signor Demetrio Bertòla si preparava scherzando alla giostra.

— Eccoti una sedia, — diss’egli al genero, quando furono giunti in una sala attigua alla sua camera da letto. — Puoi parlare liberamente. Che cosa avevi da dirmi?

— Che vostra figlia si è resa intollerabile; — rispose il conte Attilio, entrando risoluto in materia. — Sì, dico, intollerabile con le sue....

— Senza giunte, ti prego, senza giunte; — interruppe il signor Demetrio. — A che servirebbero? Hai detto intollerabile, e mi pare che basti. Il perchè ed il percome non fanno e non ficcano. Intollerabile, dunque? Ma sai che mi rallegri, caro, con la tua sincerità? Ed io sciocco, che volevo metter pace!... Altro ci vuole, pel si-