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saranno pur troppo anche i miei. Ma perchè questo fior di furfante non è ancora andato a ricevere il premio dovuto ai suoi meriti, e noi lo abbiamo sempre alle costole, bisognerà bene che troviamo la via di aggiustare alla meno peggio le cose. Non senti più di amarlo? Poco male, ragazza mia. Mi par di capire, da quanto mi ha detto or ora la mia gran poetessa, che senza amore si possa vivere, e campar magari cent’anni. L’essenziale è di digerir sempre bene. Digerisci bene, figliuola, e non ti guastare il sangue con uno stravaso di bile. Quanto a lui, lavori, si penta o non si penta, purchè righi dritto e faccia il suo dovere, ci sarà da stimarcene abbastanza contenti. S’intende che io ripiglio da quest’oggi le chiavi della cassa.... Non voglio pasticci, io; ci son troppe Maddalene in moto, e ai quattrini ci baderò io, d’ora in poi. Se no, poveri a noi, altro che monumento! non ci resterà neanche più da fargli fare un pilastrino. —
Parlava così, il bravo signor Demetrio, per amore del quieto vivere; ma nel fatto non vedeva neppur lui come si potessero aggiustare le cose, lasciando correr l’acqua al suo mulino. Dopo quel po’ po’ di sconcerto domestico, era possibile che vivessero in pace quei due esseri, in una medesima casa?
— Ah vedete che cosa mi tocca, per i miei ultimi giorni! — diceva egli tra sè, discendendo nel suo salottino. — La figlia mal maritata in casa; il genero ch’è un diavolo scatenato; i quattrini che non tornano più; l’inferno in famiglia; questo si chiama avere il male, il malanno e l’uscio addosso. —
Stava forse da mezz’ora là dentro, visitando i suoi libri e non intendendoci nulla, quando rientrò il conte Attilio. Il signor Demetrio brontolò un monosillabo in risposta al mezzo saluto del genero. Vide, guardando senza volere con la coda dell’occhio, che quell’altro era un po’ stravolto; ma non volle farne caso, e seguitò a rovistare i suoi libri.
— Signor Demetrio, — disse quell’altro, dopo