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i bottegai concorrenti di Mercurano che il Bottegone non lasciava prosperare. Non badando ai suoi interessi, non rinnovando le sue provviste in tempo, smettendo della sua vigilanza al banco, della sua cortesia premurosa con ogni razza d’avventori, le sue faccende si sarebbero avviate per una brutta china; anche per esser troppe, avrebbero preso il tracollo, e un giorno o l’altro addio roba! Di corrispondenza, a buon conto, non si occupava più da un bel pezzo: ma ancora, vivente la signora Giuditta, aveva l’uso di guardare ogni settimana i suoi libri, e di fare una conversazione con Zufoletto sopra ogni partita. Morta la signora Giuditta, rimase parecchie settimane senza guardare più nulla, senza discorrer di nulla, col suo segretario.

Quando volle rimettersi a leggere nei libri, gli parve arabo, turco, cinese, e n’ebbe un giramento di capo. Son libri, quelli dei conti, del dare e dell’avere, che quando uno sta un mese senza occuparsene, non ci trova più il bandolo. Non ci sono che i curatori dei fallimenti, per saper leggere nei libri maestri. A benefizio dei creditori, ci s’intende; ond’è che i tribunali non si facciano pregare per nominarne a dozzine. Ma questo è come cavarsi la sete col prosciutto. Vi bisogna fallire, infatti, perchè nei vostri libri ci si legga chiaro. E piaccia a voi, questo, o piaccia ai vostri commessi, che seguiteranno poi lo stesso commercio. Per intanto non poteva piacere a Zufoletto.

E non ci fu caso che fallisse il Bottegone, anche privato delle cure quotidiane del suo proprietario. Seguitò a prosperare; e se non fosse per mancar di riguardo al signor Demetrio Bertòla, nè per isbugiardare il proverbio che l’occhio del padrone governa il cavallo, si potrebbe soggiungere che prese da quel tempo a fiorire più che mai. Fioriva anche la signorina Fulvia, quantunque la mamma sua se ne fosse andata in cielo, e il babbo se ne andasse troppo spesso con la testa ciondoloni per le viottole campestri di Mercurano. Zufoletto era lui il babbo, dopo essere stato maestro e bambinaia ad un tempo.