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gli. Non potrei più stimarlo; potrei forse amarlo ancora, per effetto di compassione. È il mio dovere; anch’io debbo pensare ai miei figli. Una gran cosa, il dovere, e bene la religione c’insiste. Ma il mondo ha fatto assai facilmente il suo tacito compromesso colla religione e col dovere, lasciando l’una e l’altro in cura alle donne. Credano esse e si mantengano virtuose, compassionevoli, amanti quando possono e perdonanti sempre: il mondo proseguirà la sua vita pazza, aspettando a pentirsi quando non potrà più farne a meno. Nel vortice di quella sua vita, quante cose non si dimenticano, affogandovi? La gente frettolosa vede i piccoli drammi e i piccoli strappi dei cuori; mormora, sorride, compatisce o condanna, ma poi si scorda di tutto. Anche noi, derelitte, ci scordiamo di aver tanto sofferto; dopo aver lungamente sorriso per forza di volontà, seguitiamo a sorridere per forza di abitudine. La passione frattanto si è consumata nei nostri cuori: felici noi se un giorno ci avvediamo, rientrandoci col pensiero, di non averci più che le ceneri.
— Povera figliuola! che cosa mi racconti tu mai? — esclamò il signor Demetrio, strabiliando. — Ecco un mondo nuovo per me. A Mercurano, te lo confesso, non se n’ha neanche l’idea.
— E qui, — riprese Fulvia, — dovevano parermi più gravi i suoi torti. In quest’angolo tranquillo di mondo, in questa casa che è specchio di probità, di onore e di fede, egli ha portato il suo orgoglio non vinto, le sue passioni non frenate da nessun rispetto umano. Qui, dond’egli mi aveva presa innocente, e diciamo un po’ sciocca, all’esca del suo titolo, qui dove gli era necessario rifarsi un altr’uomo, riconoscendo la mia generosità e la tua, qui egli ha fatto anche peggio. Potevo intendere il mal esempio di una grande città; non intendo più i suoi tradimenti qui, dove tutto ciò che si è fatto e sofferto per lui doveva trattenerlo, ammonirlo, insegnargli la virtù del rimorso, del pentimento. Anima e cuore egualmente viziati! E dovevo io chinar la te-