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— Che è statò? — diss’egli. — Ho sentito gridare....
— Nulla, nulla; — rispose Fulvia. — Seguimi.
— Ma tu hai la cera molto alterata; — ripigliò il signor Demetrio, turbato.
— Non badare; or ora saprai. Seguimi, te ne prego; vorrei dire due parole alla signorina Pasquati. —
L’accento era risoluto: il signor Demetrio non trovò nulla da replicare, e seguì la figliuola, che uscita tosto dal salottino entrò nella bottega delle orerie, donde passò nella cartoleria dov’era Maddalena seduta dietro il banco, con un libro tra mani. La bionda formosa tralasciò subito di leggere, e si alzò rispettosamente alla inattesa apparizione. Era un po’ maravigliata, essendo la prima volta che la signora contessa, dopo il suo ritorno a Mercurano, poneva piede là dentro; nondimeno si provò di sorriderle, e già stava per aprir la bocca ad una frase di complimento. Ma la frase le fu trattenuta e il sorriso gelato sulle labbra, dall’aspetto severo della contessa e dall’apparire del signor Demetrio dietro di lei, con un’aria di cancelliere di tribunale, che non prometteva niente di buono.
— Signorina, — incominciò la contessa, — vi ricordate di quattro mesi fa, quando il signor Virginio Lorini, allora segretario di mio padre, ebbe occasione di far delle scuse al conte Spilamberti?
— Signora, — balbettò Maddalena, confusa, — non so.... non capisco.... Perchè dovrei ricordarmi io di queste cose, che non mi riguardavano affatto?
— Il perchè importa poco; — ripigliò la contessa. — Del fatto, io vi domando, del fatto. E dovreste ricordarvene, perchè avete udito il dialogo, origliando da quell’uscio. Che abbiate origliato lo dimostra lo aver voi riferito al conte Spilamberti un altro colloquio, avvenuto pochi minuti prima tra me e il signor Virginio Lorini. Questo, poi, non lo potete negare; è provato. Ora la vostra azione ignobile, e i commenti ancora