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avrebbe detto questo umile borgo, donde mi aveva tratta fuori la mia graziosa e veramente ben collocata ambizione. Comunque sia, ho taciuto; ma le lettere in cui mi si narravano le alte gesta del conte Spilamberti mi erano pure venute; ed io le conservo ancora, prezioso ricordo di una bella luna di miele!

— Lettere! — esclamò il conte, facendo un atto disdegnoso. — Lettere anonime! E voi avete bevuto a quella torbida fontana?

— Non subito, ve lo confesso; ma ho poi dovuto arrendermi all’evidenza, tanti erano i particolari narrati, e così facili a riscontrare. La persona che scriveva era certamente infame; ma dava ragguagli che non potevo lasciar passare con un sorriso d’incredulità. Finalmente, si trattava della sostanza vostra e mia, dell’avvenire dei nostri figliuoli; e ben dovevo assicurarmi della via che prendeva il denaro. Speravo allora che ne restasse ancora la miglior parte; ignoravo in che condizione si trovasse garantita la mia dote a Modena; temevo che potesse accadere, per le vostre amorose follìe, ciò che pur troppo era già accaduto da un pezzo. E allora, signor conte, ho dato un passo audace....

— Audace!... — ripetè il conte Attilio, spaventato da quella sospensione che aveva fatta nel racconto sua moglie, e pur volendo averne l’intiero.

— Sì, audace, ed anche antipatico. Ho parlato alla signorina Erikow. La chiamano signorina, non è vero? — domandò Fulvia, pungendo con ironico accento il suo interlocutore, rimasto come tramortito dal colpo che aveva pur dianzi ricevuto. — Le ho parlato, signor conte, e l’ho costretta a confessare.... molte cose. S’intende che mi ha detto anche delle bugie; questa, tra l’altre, che non vi sapeva ammogliato. Altrimenti, si capiva, una donna per bene come lei.... Ho finto di credere; ma avevo messo i puntini sugli i, l’avevo posta colle spalle al muro; non poteva più in nessun modo continuare su quel tono con voi; e allora, proprio allora si cavò dall’impic-