Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 237 — |
— Sì.
— Beato Lei! — ribattè prontamente quell’altro.
Questo era il dialogo occorso tra loro, che Virginio aveva creduto prudente di troncare, non rispondendo più nulla. Ma egli aveva un diavolo per occhio, e a mala pena il signor Demetrio gli era comparso davanti, lo aveva salutato con quelle parole: — vogliate rivedere i miei conti.
— I tuoi conti! — ripetè il signor Demetrio stupito. — Che novità è mai questa?
— Una novità a cui penso da un pezzo; — rispose Virginio. — Fatemi questo piacere. Sono un po’ stanco di questo carico; ed è la prima grazia che io vi domando, dopo vent’anni di servizio; liberatemi da una responsabilità che mi pesa.
— Se tu lo vuoi....
— Sì, e ve ne supplico, anzi. E i conti, vi voglio rendere, ed anche le chiavi della cassa.
— Di bene in meglio. Ma già, capisco, se vuoi rendere i conti, è segno che non vuoi tenere la cassa. Ma se ci pensavi da un pezzo, figliuol mio, perchè non dirlo anche prima? Sapete che tra tutti, coi vostri dissapori, colle vostre bizze, mi avete seccato parecchio? —
Virginio si strinse nelle spalle, non volendo accettar battaglia su quello sdrucciolo terreno.
Quella mattina il signor Demetrio ebbe un lungo colloquio a porte chiuse col conte suo genero. Virginio non ne seppe nulla: ma indovinò poi, dalla sostenutezza del vecchio, che il dialogo non era tornato a favore dei terzi; anzi diciamo del terzo, poichè era uno solo. Il signor Demetrio, sicuramente, s’era messo in testa che Virginio non avesse condotte le cose a quell’estremità se non per levarsi il conte da’ piedi. Che idea pazza era quella, se mai! E come poteva il signor Demetrio aver creduto ciò dal suo segretario, sperimentato sempre così ragionevole, e piuttosto remissivo che caparbio? Lui, dunque, proprio lui accusato di volersi disfare del conte, di voler mettere fuori di casa Bertòla il genero, la figlia,