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tro giudice che il signor Bertòla in persona, che solo poteva trovargli a ridire, e magari dargli il suo ben servito. Il conte alzò la voce anch’egli, e più forte di lui; tanto che fu sentito dal piano di sopra, e Fulvia discese in fretta, per metter pace tra i due.
— Attilio! — aveva detto ella, affacciandosi sulla soglia del salottino. — Che scene son queste!
— Tu? — esclamò il conte, voltandosi in soprassalto. — Ma che credi? — ripigliò subito, tentando di padroneggiarsi. — Ch’io sia alterato? Neanche per sogno. È lui. Faccio un’osservazione puramente accademica, e il signor Lorini la prende per un’offesa. —
E se ne andò, approfittando della presenza di sua moglie, come uno che non volesse trascendere, esser tirato pei capelli e dire di più.
Fulvia si accostò a Virginio, ch’era rimasto là, accanto al leggìo, col gomito sul libro maestro, guardando il tavolato e tentennando il capo.
— Perdoni; — gli disse, con accento dimesso.
Virginio levò la fronte, e Fulvia potè scorgere negli occhi di lui un principio di lagrime.
— Vedo bene, — riprese ella, — intendo.... intendo ogni cosa.... —
E gli stese, così dicendo, la mano, ch’egli non osò altrimenti di prendere.
— Fatelo per i miei figliuoli, che non ci han colpa; — soggiunse ella, passando dal Lei cerimonioso al Voi amichevole. — Perdonate! —
Solo allora, pensando che il trattenersi più a lungo sarebbe parso scortese, solo allora Virginio prese la mano che Fulvia gli offriva.
— Dio, come brucia, la vostra! — esclamò la signora. — Ma voi siete sempre stato così buono! che cosa vi costa esser tale ancora? —
Virginio si scosse, facendo l’atto di scacciare un molesto pensiero dal capo.
— Non mi dica altro, contessa; — mormorò, stringendo convulsivamente la mano di lei, e tosto lasciandola. — Non mi dica altro; sarà obbedita.