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E il signor Demetrio, frattanto? Il signor Demetrio faceva un po’ come quei capi di casa che approfittano volentieri del lavoro altrui, per non far nulla essi medesimi e non darsi pensiero di nulla. Vedeva formarsi una nuova condizione di cose, avviata di per sè stessa al necessario equilibrio, senza stratte, senza strappi, senza strepiti, e aveva l’aria di dire in cuor suo: non guastiamo con le nostre osservazioni quello che cammina tanto bene da sè.
Nel fatto, che cosa accadeva? Ch’egli avesse due segretarii in luogo di uno, e senza spendere un soldo di più. Ottima condizione per lui, che poteva appisolarsi più spesso sul canapè del salottino, e far più lunghe le sue sedute a tarocchi.
— Dunque avete preso il vostro genero con voi? — gli dicevano gli amici. — Fortunato uomo che siete! con un conte a tenervi i conti!
— Ma sì, veramente; — rispondeva egli ridendo. — Ed io non tengo forse e non mantengo i suoi? Ah ah, che ve ne pare? Questa è nuova di zecca. —
Quella condizione di cose durò un anno a formarsi; in capo a quell’anno, Virginio si trovò fuori del tutto. E dava ancora informazioni; ma quelle informazioni erano chieste per via d’interrogatorii. Che cosa significava la tal partita al libro maestro? Perchè si era scritto al tale? Perchè non si era scritto al tal altro? A tutto doveva rispondere, vedendo qualche volta batter le labbra del superiore scontento. E un giorno, Dio santo, non gli avvenne di sentirsi dire che il suo metodo di scrittura era antiquato, buono soltanto per non far capire una saetta alla gente?
Scattò, quella volta. La pazienza ha i suoi limiti. Che metodo antiquato? Quel metodo, a buon conto, aveva dovuto inventarselo lui; prima di lui si tenevano i conti a sacchetto, a mente e borsa, senza niente scritto. Col metodo suo, il signor Bertòla aveva sempre avuto ragione di tutto, e il Bottegone era giunto fin lì, prosperando a vista d’occhio. Del suo metodo, infine, mediocre o cattivo che fosse, non ammetteva al-