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esempio, gran destrezza di mano, un occhio al panno e l'altro alla canna, la cognizione minuta e pronta di tutti i prezzi delle cose, il fiuto ingenito, inesplicabile, infallibile, dei difetti dell’avventore, per tener su quei prezzi o per abbassarli d’un tanto, e via via cento piccole cose che non s’insegnano, che non s’imparano per grammatica, ma che debbono svolgersi naturalmente, coll’aiuto delle circostanze, come le qualità essenziali d’un giudice istruttore o d’un can da tartufi.
E poi, se anche avesse amato star lui al banco, non ce lo avrebbe voluto il signor Demetrio, per non far torto a nessuno dei suoi giovani di negozio. Neppur egli ci stava mai, al banco; non poteva vederci volentieri il suo genero, che era spiantato fin che si voleva, ma conte, e certe umiliazioni gli andavano risparmiate. Quel conte aveva per caso una bella mano di scritto: domandava di copiare, d’intestar registri, di scriver lettere, conti, fatture: quello era il pan pe’ suoi denti. Così, come si offriva, fu messo a scrivere, ed ebbe parte alla corrispondenza del Bottegone.
Quella povera corrispondenza, Virginio se la vide levar di sotto con una destrezza, con una grazia, con una leggerezza di mano, che egli a tutta prima non si fece neanche un’idea del colpo. Così, quando un ladro ci leva di tasca il portafoglio, o ci strappa dall’occhiello della sottoveste la catenella dell’orologio, non sentiamo lì per lì che un lieve urto, quasi lo strofinìo del gomito d’un viandante frettoloso. E gli dava anche aiuto dei suoi consigli, quante volte il signor conte si facesse a domandargliene. A breve andare non furono più consigli, ma semplici informazioni che quell’altro chiedeva; sempre e per il migliore andamento del servizio, per il più sollecito disbrigo degli affari.
— Non c’è male; — diceva il signor Demetrio, vedendo tutta quella smania di fare. — Caveremo da te qualche cosa.
— Eh! — rispondeva il genero, facendo bocca da ridere, — bisognerà bene che mi adoperiate,