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di quello che dà, non essendoci più niente da aggiungere, trovandocisi oramai tutto quello che la gente può chiedere. Non resta, la riconosco, che di seguitare sul vecchio solco, e di far fruttare la buona semente.

— Ah, sia lodato il cielo! — rispondeva il signor Demetrio. — Tu sei dunque persuaso, che non c’era più da inventare la polvere? —

Ed era più contento di quella vittoria, l’inventore del Bottegone, che non sarebbe stato di sentirsi dimostrare la certezza di guadagnar ventimila lire di più od ogni fin d’anno.

Gli uomini si pigliano pel loro debole, come le mosche. Il conte Spilamberti, che aveva fatta in principio tutta quella pompa della sua superiorità intellettuale, delle sue cognizioni finanziarie, del suo colpo d’occhio infallibile, era diventato di giorno in giorno più dolce e più remissivo. Infine, se anche a Mercurano aveva dato in ciampanelle, si era assai prontamente ricondotto in carreggiata. Ed anche per gli errori commessi a Roma, non era da usargli misericordia? Nel fatto, non ne aveva commessi più di tanti e tanti altri, gran finanzieri ed autentici, che erano andati come lui a gambe levate. Lo stesso principe Andolfi, presidente della «Nuova Esperia», non era rimasto sul lastrico? E il banchiere Spitzbolzen, anche lui, così forte cacciatore di scudi nel cospetto del Signore, non aveva dovuto chiedere la moratoria? Dopo quei due esempi solenni, si poteva intendere il caso del conte Spilamberti. Quella di Roma era stata una crisi generale, universale, come il diluvio; per iscamparne, sarebbe stato necessario esserne avvisati prima, tanto da aver tempo a rifugiarsi nell’arca e magari fabbricarsene una.

Quel povero conte Spilamberti, rimasto ignudo bruco in quella catastrofe, non aveva perduto il coraggio; si rimetteva a lavorare, e nella forma più umile, quasi a dimostrare nella sua serena modestia di non aver meritata del tutto la sua grande sventura. Non istava già dietro il banco a vendere. Altro ci sarebbe voluto; ad

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