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Il signor Demetrio non gradì la promessa che a mezzo. Gli piaceva poco e non gli annunziava niente di buono quello sfoggio di grandi idee che dovevano gonfiare il Bottegone, col rischio di farlo scoppiare. Sapeva bene che erano tutte ciance; ma appunto perchè erano tali, lo annoiavano parecchio, come sogliono annoiare le spacconate di cui uno ci viene intronando il cervello, mentre noi per la buona creanza dobbiamo starle a sentire, mostrando quasi di accettarle per buona moneta.

Quella sera, rimasto un momento a quattr’occhi col suo segretario, il signor Demetrio gli uscì in queste parole:

— Dimmi un po’ tu, che te ne dovresti intendere; che cos’è un eroe?

— Un eroe! — ripetè Virginio, sconcertato lì per lì da quella domanda improvvisa. — Un eroe è.... un eroe.... cioè, ecco qua, un uomo che fa delle grandi cose.... che compie, o può compiere un atto di valore inaudito.

— Già, ed è l’idea che me n’ero fatta ancor io; — disse il signor Demetrio. — A questi patti il mio signor genero non dovrebb’essere un eroe, nè in via di diventare un eroe; sicchè dubito forte che mi rimanga quello che è, voglio dire un imbecille.

— Signor Demetrio! — esclamò Virginio, compreso di stupore a quella volata del suo principale.

— Ma sì, non hai sentito che idee sul commercio in genere, e particolarmente sul mio? Mi dava l’unto, il compare. Ma io non sono nato pizzicagnolo per niente, e so di che roba si fa: perchè io lo gradissi, sarebbe necessario almeno che lo strutto fosse di prima qualità. Il Bottegone... sicuro, è stata un’idea, una trovata; ma naturale, semplicissima, direi quasi casuale, come la scoperta della legge.... di quella legge della mela.... ma sì, com’è più quella storia della mela, caduta sul naso dell’astronomo, che tu spiegavi così bene a Fulvia, quando era bambina?

— Ah, capisco; — rispose Virginio. — Volete