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signor Demetrio Bertòla. Quando si dice nascer vestiti! Andavano tutte bene, a quel fortunatissimo uomo. Don Virginio Lorini, scontento di non aver potuto fare del suo giovane omonimo un prete a sua immagine e somiglianza, poteva almeno esser contento di non averlo avuto a mantenere. Qualche volta gli era occorso, al vecchio avaraccio, di dover calare a Mercurano; specie in occasione di grandi solennità, per dare una mano al collega arciprete di San Zenone. Ma da principio non si era arrisicato dall’altra banda della piazza; non aveva domandato mai del nipote, quasi ignorando ch’egli vivesse laggiù. Temeva, forse, che gliel’avessero a rimettere sulle braccia? Chi sa? forse arrossiva pensando di non averlo trattato da zio, nè da padrino, nè da uomo battezzato. Più tardi, molto più tardi, o gli fosse passata la paura, o svanita la vergogna, s’era lasciato accostare dal signor Demetrio Bertòla ed anche, coi debiti riguardi, s’era accostato lui al Bottegone.
— E così? — aveva domandato, facendo la voce grossa, come quando cantava messa da morto «praesente cadavere»; — come siete contento di questo bel mobile?
— Fa bene, fa bene; — rispondeva il signor Demetrio. — Non lo dovrei dire in sua presenza; ma la verità è una sola. Mi serve con fedeltà e intelligenza. È pronto a tutto; premuroso, rispettoso, garbato; e tiene i libri in ordine, che è un piacere a vederli.
— Ah sì! guardate un po’! — biascicava don Virginio. — Me ne rallegro tanto con voi... e con lui. Bisognava proprio che andasse fuori di casa sua, per far bene le cose.
- Eh don Virginio, la vita è una gran scuola; - replicava il signor Demetrio. — Ne so qualche cosa ancor io, che ho dovuto farmi quasi tutto per pratica, in mezzo a tante difficoltà! Quanto a lui, se tira avanti così, farà un buon cammino nel mondo. C’è la stoffa, in lui, c’è la stoffa. Figuratevi che ha imparato il francese da sè. Non lo parla ancora, intendiamoci; altro ci vor-