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amatissimo suocero; ma un’idea che poteva essere ancora allargata, ingrandita, fecondata, e ciò sempre in omaggio alla bellezza sua e al sullodato genio dell’autore. Il Bottegone, portentoso organismo dai mille tentacoli, doveva estendere la sua sfera d’azione, impadronirsi di tutti i generi, rispondere a tutti i bisogni, destare tutte le curiosità, e rendere il triplo di ciò che rendeva, fors’anche il quadruplo e il quintuplo.

— Caro mio, — rispondeva il signor Demetrio, che fin allora era stato quieto a sentirsi fare il solletico, — saran tutte idee bellissime; ma io penso che oramai non si possa ottenere di più. Siamo a Mercurano, per tua norma, non in un gran centro di popolazione. Il signor Virginio ha già studiato questo problema, e l’ha sulla punta delle dita. Gli abitanti di Mercurano faranno molto a toccare i quattromila ottocento: aumenta pure il numero con tutti i contadini che calano la domenica dai monti, e non passeranno di molto i cinquemila.

— Ma bisogna farne calare di più; — ribatteva con aria di trionfo lo Spilamberti; — bisogna andare a studiare i loro bisogni sul posto, vedere di che si provvedono nei loro paeselli, per fare una concorrenza vittoriosa a tutte le piccole industrie. Ci sono anche i bisogni che s’inventano, che si fanno nascere dove non c’erano ancora. È una cosa, questa, a cui voglio pensare. Mi permetterai bene di pensarci, di formare un disegno, e di sottoporlo alla tua approvazione. Tu sei stato qui lo scopritore d’un mondo; le grandi idee ti son dunque familiari; sei capace d’intenderle a volo. Dove io avrò veduto male, mi correggerai, col tuo colpo d’occhio raddrizzando gli errori, e in fin dei conti vedendo meglio di me. Anch’io, dopo tutto, voglio lavorare con te.

— Lavorare! — esclamò il signor Demetrio. — Tu, proprio?

— Io, sì, perchè no? Le disgrazie immeritate non mi hanno abbattuto. E non è bene che io stia qui a non far niente. Lavorare è un eroismo necessario; e io sarò un eroe, te lo prometto. —