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Ma proprio non interrompeva niente. La sospensione del conte Attilio aveva aspettata per l'appunto la frase di Virginio Lorini, per risolversi in una reticenza tanto fatta.

Il signor conte, in verità, venuto a toccare quel tasto, poteva dir qualche cosa di più. Le parole che aveva proferite, sciocche, leggere, elastiche come il sughero, parevano tirate fuori col cavatappi. Ma che importava ciò a Virginio Lorini? Egli non era punto orgoglioso delle sue buone azioni; e del resto, siccome non aveva fatto per quell’uomo il sacrifizio del suo denaro, non gli premeva di esserne ringraziato da lui. Da lei, forse? No, neanche da lei; anzi, meno da lei che da ogni altra persona. Per non avere i ringraziamenti di Fulvia, aveva sempre evitato di trovarsi da solo a sola con lei, temendo ancora ad ogni istante che ella lo chiamasse in disparte per entrargli a discorrere di quelle sessantamila lire. La contessa, per fortuna, non ne aveva fatto nulla; forse non osando neppure lei di parlare. Ma che bisogno c’era che le parole venissero a guastare la delicatezza del fatto? Egli aveva potuto rendere un servizio, e lo aveva reso, senza farsene un vanto: ella aveva potuto accettarlo, e il suo silenzio non significava punto che volesse dimenticarlo. L’espressione di bontà, di sollecitudine affettuosa, di delicato riguardo che appariva da ogni sua parola, da ogni suo atto verso il signor Lorini, diceva assai chiaro che la contessa Spilamberti aveva mutato profondamente d’opinione e di sentimenti per lui; lasciava intendere che Fulvia avesse qualche cosa sull’anima, come un rimorso, e qualche piccola colpa, d’ingratitudine, d’ingiustizia, di trascuranza, volesse farsi perdonare da lui.

Quel giorno, alla mensa del signor Demetrio, il nostro Virginio si trovava per la prima volta a disagio; non già straniero del tutto, ma un po’ meno figliuol di casa, e un poco più ospite. Cose che non si sanno spiegare, ma che si sentono e non si posson negare, essendo chiare come la stessa evidenza! I discorsi, naturalmen-