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ni, lavorando per conto del Bottegone, come aveva promesso. E più ci sarebbe stato, se una lettera del signor Demetrio non fosse giunta a fargli premura del ritorno.
— «È inutile che tu perda il tempo fuori di casa,» gli scriveva il vecchio; «quell’altro ha piantata la labarda, e non parla di andarsene. Mi ha fatto un piagnisteo più lungo della quaresima, tanto che io gli ho detto: «va bene, va bene, diamogli un taccio e finiamola.» Mi pare molto avvilito, ed io stesso mi sono ritrovato confuso per lui. Senti, caro, se me lo sorbisco io, puoi sorbirtene la tua parte anche tu. Male in comune sarà poi mezzo gaudio?»
Ah sì, altro c’era per lui. Pure, si adattò, e si dispose al ritorno. Il signor Demetrio lo accolse a braccia aperte, mettendo a rumore tutto il Bottegone, come se gli fosse ritornato un figliuolo dal mondo della luna.
— Eccoti finalmente! suonate, campane. Temevo già che tu non volessi venir più, milionario traditore! Come vanno gli affari a Bercignasco?
— Bene, tutto bene. E vedo in buona salute anche voi; me ne congratulo. —
I bambini sorrisero al reduce; Guido stendendogli la manina rosata e gorgogliandogli una sillaba indistinta, in mezzo ad un fiotto del suo buon latte di Frosinone; Lamberto aggrappandosi alle sue ginocchia, per veder bene i nuovi balocchi ond’egli veniva carico a Mercurano.
— Me li guasterà, signor Virginio; — disse Fulvia, che era venuta in sala a dargli il ben tornato; — ed io finirò con esser gelosa. —
Buone parole, buona stretta di mano che le accompagnava; Virginio accettò quelle e questa col sorrisetto consueto. Ripigliò subito il suo posto al Bottegone, e andò a rivedere il suo libro maestro, dove il signor Demetrio si era ben guardato di scrivere.
— Quella è stampa; — diceva il signor Demetrio; — non mi attenterò di guastarla io, coi miei scarabocchi. —
E il conte? Virginio non lo cercava di sicuro, e