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Bene si vedevano i piccini, portati attorno dalla balia e dalla bambinaia; ma la balia parlava il dialetto di Frosinone, la bambinaia quello di Subiaco, e a Mercurano non c’era nessun cardinale Mezzofanti per capire quei gerghi e per entrare in discorso.

Neanche il signor Virginio, che doveva rispondere, neanche il signor Virginio sapeva poi tutto. Non sapeva, a buon conto, che idee ci avesse il signor conte Spilamberti, e se contasse di restar sempre lontano dalla famiglia. Ma un giorno il signor Demetrio, disceso nel salottino, gli entrò di punto in bianco a toccare quel tasto.

— Ed ora, mio caro, un gran bicchiere d’olio di ricino. Lo manderemo giù da valorosi, non è vero?

— Che cosa intendete di dire?

— Che dobbiamo prepararci a vedere quel bell'arnese. Non ha più casa nè tetto; dovrà venir qua, al «refugium peccatorum». Sai che a Modena vanno all’asta i suoi beni?

— Ho bene udito; — rispose Virginio. — E verrà presto?

— Fra quattro o cinque giorni. L’ha scritto iersera a sua moglie. —

Virginio aveva veduta la lettera; egli stesso l’aveva levata dal fascio, e mandata su alla contessa.

— Voi mi farete una grazia, signor Demetrio; — diss’egli.

— Una grazia? Sentiamo.

— Di darmi qualche giorno di congedo.

— Di congedo? Oh, questa è nuova....

— Di zecca, sì; — riprese Virginio. — Ma voi la intenderete benissimo. Non vorrei trovarmi presente all’arrivo del conte. —

Il signor Demetrio rispose a tutta prima con una spallata e con parecchie contrazioni di labbra.

— Se lo hai da incontrare ad ogni modo, — diss’egli poscia, — io non vedo come ti possa importare di essere lontano da casa quando egli ci metterà piede.

— Lasciatemi andare ugualmente; — rispose