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da perdere; — soggiunse egli, a mo' di commento. — Ma son cose da non badarci troppo.
— Me ne consolo; — ribattè la signorina Arpalice. — Ma che cosa c’è di vero in quell’altra notizia di Modena? Si dice laggiù che la Banca Agraria gli faccia andare in vendita i suoi stabili. —
La botta era veramente un po’ forte. Si poteva rispondere mandando l'indiscreta bargella a quel paese, e non avendo neanche l'aria di mancare alle buone creanze. Ma il signor Virginio non si commosse punto, e parò con grazia anche quella; tanto era già preparato, per tutti i casi possibili e immaginabili.
— Ah sì, vero; — rispose. — Ma non è che una vendita fatta d’accordo tra debitore e creditore. La Banca ha un credito, in apparenza più forte del vero; il conte Spilamberti fa vender gli stabili con calma, con molta calma, per non aver da dare in ricambio le azioni che possiede, e per una somma discreta. Ha capito?
— Non bene; — rispose la signorina Arpalice; — Non bene.
— Meccanismo bancario; — conchiuse Virginio, sorridendo ancora; — ed è più complicato di quello degli orologi. Stiano tutti tranquilli, del resto; il conte Spilamberti non è ancora spacciato, e ad ogni modo una cosa è certa, ch’egli non ricorrerà per aiuto alle anime caritatevoli. —
Questa non era più una parata; era una botta a fondo, e la signorina Arpalice la ricevette in pieno costato, tanto che parvero crocchiarne le ossa. Ahimè, povere ossa della gran zitellona! Imparavano a proprie spese che gusto ci sia a rallegrarsi dei malanni altrui, perdendoci ancora un tempo prezioso, che il buon Dio ci accorda perchè ci occupiamo dei nostri.
Così, tutti cercando di conoscere e nessuno riuscendo a sapere più di quello che si poteva argomentare da poche induzioni, passavano i giorni, e la furia delle domande incominciava a quietarsi. La contessa Fulvia, sempre al fianco del babbo, non si vedeva mai comparire per le vie.