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dalla poppa, e gli tendeva la sua manina rosata colla confidenza inconscia dei suoi cinque mesi d’età; per contro facendo torcer gli occhi a Lamberto, che incominciava a conoscere qualche cosa, ma che appunto per ciò non si adattava così facilmente a veder facce nuove.

— Piccolo impertinente! — gli disse il signor Demetrio, fingendo di dargli un buffetto sul naso. — Non riconosci neanche il tuo padrino? Ma già, capisco; tu non sei che un falso Demetrio.

— Perchè falso? — domandò Fulvia, turbata.

— Lascia correre; è storia antica, che Virginio ti spiegherà, se non la sai. Del resto, se il falso Demetrio non ti va, diciamo Demetrio per metà. Del suo primo e vero nobilissimo nome non si chiama forse Lamberto? Animo, bambinona che sei; lascia dire a tuo padre quel che gli gira per l'anima. Sai pure che io amo te, e i tuoi figliuoli non meno di te. —

Lo scontrosetto Lamberto fece miglior viso a Virginio, non pure perchè quello era un conoscente di due ore più vecchio, ma perchè ritornava allora in sala con un palloncino di guttaperca, dipinto a spicchi di varii colori, con un cavalluccio di legno e un piccolo can barbone, tutt’e due disposti a lasciarsi tirare su quattro ruote, fino a tanto che queste non uscissero dai perni; cose che succedono spesso ai can barboni e ai cavallucci, quando sono di legno.

— Ho già capito, — disse il signor Demetrio, — che giù al Bottegone bisognerà aggiungere una buona provvista di balocchi.

— Ce ne son tanti! — rispose Virginio; — e ci avranno sempre da scegliere.

— No davvero, non sceglieranno; — Soggiunse Fulvia. — Si avvezzeranno a vedere e non toccare. Non ci mancherebbe altro, per l’ordine e la quiete che io ho lasciato qui sotto, e che spero bene di non esser venuta a turbare.

— Se è per l’ordine e la quiete, hai ragione; — rispose il signor Demetrio. — Grazie al signor Virginio l’uno e l’altra regnano qui sotto, come a Varsavia. Quanto ai danni che possono recare,