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XIV.

Non c’era, infatti. La mattina seguente, Virginio andò da buon cavaliere ad attendere l'arrivo del treno; e due carrozze, per bastare ad ogni bisogno, erano preparate fuori della stazione mentre egli passeggiava sotto la tettoia, spiando il nastro di fumo e tendendo l'orecchio al fischio della vaporiera, dalla parte di Piacenza. Finalmente, col solito quarto d’ora di ritardo che è il colmo della puntualità delle strade ferrate italiane, giunse il treno benedetto, e Virginio potè scorgere la testa della contessa Fulvia, che si affacciava da un finestrino di prima classe, per riconoscere i cari luoghi, e respirare le dolci aure della terra natale. Discese sola; vogliamo dire senz’ombra di marito, coi suoi due amabili rampolli, il primo dei quali, Lamberto, saltellante come un capriolo, tra le braccia della bambinaia, e il secondo, Guido, appiccicato saviamente al petto della balia.

Quei due piccini furono una buona occasione ai primi discorsi di Virginio colla sua antica scolara. Cari bambini! voi fate spesso buon giuoco ai grandi, offrendo il tema a tante vane conversazioni, che nascondono le tempeste dell’anima, e colmano utilmente le lacune dei troppo lunghi e pericolosi silenzi. Vengono a voi di pien diritto le prime attenzioni di tanti disgraziati, che vi hanno preceduto nelle noie del mondo birbone; si sorride volentieri a voi, quando siete di buon umore; si è tutti in ansietà quando strillate; e comunque sia, qualunque cosa si faccia per voi, le piccole cure aiutano a dissimulare, se non a dimenticare le grandi.

Il signor Demetrio era ancora a letto quando giunse sua figlia; e la nobil signora fu introdotta ed accolta dal solo Virginio Lorini in quella casa dove era nata e della quale si era un po’ troppo