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sciolse in un fiume di lagrime. Non pensava più a dissimulare, non badava più a nascondersi: aveva perfino lasciato aperto l’uscio della sua camera, dove si era ridotto per leggere il biglietto di Fulvia. E quando Marietta venne sulla soglia per avvisarlo che il desinare era all’ordine, la buona donna lo trovò là, mezzo inginocchiato, mezzo bocconi contro il suo letto; ne udì i singhiozzi, vide un foglio aperto sul tappeto, e si ritirò sbigottita, per andare ad avvertire di quella novità il signor Demetrio, che era già ad aspettare il suo segretario nella sala da pranzo.
Il convalescente lasciò la poltrona, e più svelto che non si fosse mai dimostrato nei suoi anni migliori, si affrettò verso la camera di Virginio. Vide egli pure il foglio caduto sul pavimento, lo raccattò, bene intendendo che quel foglio gli avrebbe detto assai, e meglio di quanto potesse fare quel gran ragazzo singhiozzante sul letto. Riconosciuti i caratteri di Fulvia, non ebbe neanche scrupolo di metter gli occhi sopra una pagina che non era stata scritta per lui; e già finiva di leggerla, mentre Virginio, levatosi di soprassalto al rumore dei passi, tentava invano di ricomporsi, frenando male i singhiozzi, ed asciugando in fretta le lagrime.
— Che cos’è questa roba? — disse il signor Demetrio, mostrando il foglio al suo segretario.
— La seconda lettera di vostra figlia; — rispose Virginio, che oramai non aveva più nulla da nascondergli.
— Ce n’è stata dunque una prima?
— Sì, eccola. —
Così dicendo, Virginio traeva una busta dal petto della giacca, e la porgeva al suo principale.
Il signor Demetrio afferrò quella busta, l’aperse e andò nel vano della finestra a leggere il foglio. La lettura fu lunga, e spesso interrotta dalle solite interiezioni, dai soliti moti di stizza; ma si vedeva chiaro dal volto di lui che la tenerezza incominciava a soverchiare lo sdegno.