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«Ricevuto e ritirato ogni cosa in ordine» diceva quel telegramma. «Ringrazio vivamente. Prego non fare alcun caso del tono della seconda mia lettera. Fulvia.»
— Della seconda sua lettera! — esclamò Virginio. — Ne ha scritta un’altra! — Come va che non l'ho ricevuta? Forse l’ha mandata alla posta fuor d’ora; la riceverò domattina. Comunque, poichè ella parla d’un tono spiacevole.... chi sa? forse troppo triste, che ha preso nello scrivere questa seconda lettera, debbo applaudirmi io di aver risposto telegraficamente alla prima.
Quella seconda lettera capitò per l’appunto la mattina seguente. Come aveva argomentato Virginio, era stata impostata fuor d’ora, non più in tempo per partire col treno del pomeriggio.
«Signore ed amico» scriveva la contessa, incominciando; e Virginio si fermò a considerare quel nome di amico che veniva a lui come un saluto, come una carezza, ed era scritto da lei, prima di aver da Virginio in ricambio le prove di tanta amicizia. Non pareva quello un premio anticipato al grande servizio ch’ella aspettava da lui, e certamente essendo lontana dallo immaginarselo così grande, così generoso?
Ma era triste, assai triste, la lettera di Fulvia: e dopo averla letta, quel titolo di amico dato a lui in principio, lo faceva fremere, gli agghiacciava il sangue nelle vene, parendogli quasi una voce dell’anima, nel momento solenne di dare un addio alla vita.
«Le ho scritto poche ore fa» diceva la lettera, «ignorando ancor molto. Ora ho vuotato il calice di tutte le amarezze. Non si era osato dirmi tutto: oggi soltanto è venuto il principe Andolfi, un amico di casa, un parente (quali amicizie, mio Dio, e quali parentele!) a spiegarmi con la massima sincerità, ma di due anni troppo tarda, fin dove potesse giungere la miseria mia e la nostra vergogna. Da Mercurano aspettano sempre salute, sospesi ad un debolissimo filo; io frat-