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nozze. So bene che poteva astenersene; e forse ha creduto, nella sua modestia, che il potere fosse sinonimo di dovere. Ma chiunque abbia colpa di ciò ch'è avvenuto, voglia esser buono Lei, che è sempre stato così buono. Da bambina io la facevo sempre disperare, e Lei mi voleva sempre più bene. Se ne rammenta? Io sì; e perciò, sicura del passato, non dubito del presente; immagino anzi che arrivato a questo punto, ella trovi aver io già fatto più parole che non ne occorrano con un cavaliere suo pari.
«A Lei, ora, a Lei che tiene così meritamente ambo le chiavi del cuore di mio padre, e lo rivolge, per citarle il nostro Poeta,
Serrando e disserrando sì soavi
a Lei mi rivolgo fiduciosa, perchè voglia persuadere il babbo a soccorrermi. Sarà l'ultima noia, spero. Si resterà male, salvato l’onore del nome; ma sarà un male da poter sopportare. Io ho pensato lungamente, ho consigliato ed ho vinto. Si rinunzia al soggiorno di Roma; si vende tutto e si ritorna nell’ombra, donde certo sarebbe stato meglio non uscir mai. Ma al fatto non c’è più rimedio: bene, piuttosto, meriteremmo il peggio, se non ci affrettassimo a cangiar modo e costume.
«Del resto poco sacrifizio sarà il nostro. Qui, dopo essere stati sul carro trionfale, non è lecito di rimanere a batter la polvere nella folla della gente a piedi. Non mi giudichi male, la prego, da questa cruda sincerità di parola. Non son leggera, e saprei sopportare una condizione umilissima anche per giusto castigo delle passate vanità; ma penso che pur troppo la umiltà del vivere non ci aiuterebbe per nulla a sormontare i nostri mali presenti, e forse non farebbe che aggravarli. Meglio vender tutto, i mobili del nostro quartierino, come i cavalli e la carrozza, licenziare la servitù, e ritirarci a San Cesario. Gran fortuna, nella nostra disgrazia, che sia appigionato il palazzo di Modena. A qual pro un grande appartamento, senza gente di servizio?