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le vanità mondane debbono essere lasciate nell'abbigliatoio, con tutte le ciarpe vistose che servono a rappresentarle.
Virginio tremava dalla commozione, prendendo quella lettera ed osservando per tutti i versi la busta. Si era bene svegliato, allora. Ma non l’aperse; la ripose con le altre, e scese nel salottino per l'usato ufficio quotidiano, di leggere, di prender nota, di rispondere. Era forte, e forte si riconobbe in quel punto. Troppo più tenero lo stimava il signor Demetrio; ma il signor Demetrio, per una volta tanto, s’ingannava a partito. Non esageriamo, per altro: ad essere così forte gli giovò molto il pensare che aveva fatto un proponimento e non voleva mutarlo; che quella lettera non avrebbe mai potuto recare argomenti da raffermarlo maggiormente nel suo disegno, persuadendolo con più forti ragioni; che egli voleva leggerla senza frastornamenti molesti, quella cara lettera inaspettata, gustarla, assaporarla nella pace della sua cameretta; che finalmente (tanto è vero che un certo grado di puerilità si mescola sempre alla grandezza, nelle risoluzioni degli uomini forti) egli poteva, reggendo alla sua commozione, resistendo alla sua curiosità febbrile, dimostrare a sè stesso la serietà del proponimento che aveva fatto quella notte, stando al capezzale del vecchio.
Com’ebbe finito di sfogliare il carteggio, di registrare, di rispondere, tornò nella sua camera e finalmente aperse la lettera di Fulvia. Gli batteva il cuore aprendola; più forte gli battè, quando vide il piccolo foglio vergato su tutte le quattro facce, di quei fini e fitti caratteri ch’egli ben conosceva. Si fermò un tratto, allora, chiuse gli occhi, ed aspettò che gli si fosse chetato il batticuore; poi diede un gran respiro, e incominciò risoluto a leggere. Fulvia, la bambina bella! Fulvia, la bambina cara! Era lei che scriveva: