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duto. La salute val più del denaro. Chiedete ad un ricco in punto di morte se gli piacesse di più aver cento milioni da lasciare agli eredi, o cent’anni ancora di vita, a mille lire di stipendio all’anno; e vedrete che cosa vi risponderà. Riposate, intanto; lo voglio. E fate una volta a modo mio.

— Ah, tu sei un savio ragazzo; — mormorò il signor Demetrio, vinto da quel piglio d’autorità, ma più ancora dalla bontà del ragionamento di Virginio. — Se io avessi perseverato nella mia prima idea!

— E dalli! — gridò Virginio. — La volete finire? Ora m’inquieto davvero. —

Il signor Demetrio non disse più verbo. Frattanto appariva Marietta, la cuoca e donna di governo della casa, a rilevare Virginio dalla sua guardia. Il giovanotto diede il buon giorno al suo principale, e andò a buttarsi, vestito com’era, sul letto. Voleva dormire, non pensar più; troppo aveva pensato quella notte, e non gli sarebbe piaciuto ritornare sul fatto proposito, col pericolo di averlo a mutare, peggiorandolo.

Dormiva ancora, quando salirono a chiamarlo per la posta, che era allora allora arrivata. Balzò dal letto, e ancora con gli occhi assonniti prese a sfogliare un fascio di lettere, che gli avevano portato in camera. Tra tante lettere, gliene baluginò una di Roma, una di quelle che egli soleva riconoscer tosto nel mazzo. Ma quella, per la prima volta, non era diretta al signor Demetrio Bertòla; bensì a lui, a lui, Virginio Lorini. Gran novità, veramente; ed ugualmente grande quell’altra della busta senza stemma, mentre nella soprascritta appariva pur chiaro il caratterino di Fulvia. Perchè tanta semplicità, così di punto in bianco? Virginio pensò involontariamente ad un atto di umiltà pensata, e ne fu tutto intenerito. Avrebbe anche potuto paragonarlo alla umiltà delle gran dame, quando vanno in abiti più dimessi alla chiesa, per l’occasione del precetto pasquale, bene sentendo che per andare davanti al gran giudice, che è pure il grande consolatore,