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interlocutori alle prese. Ed era, così parlando, seduto al capezzale del signor Demetrio, che sonnecchiava, convalescente del suo piccolo male.

— Sei qui tu? — gli disse il vecchio, destandosi d’improvviso al suono delle parole di Virginio. — Perchè non vai a letto? che ore sono?

— Le cinque del mattino; — rispose Virginio. — Fra poco si alzerà la Marietta, e verrà lei.

— C’era bisogno di vegiliarmi? Sto bene, non vedi?

— Sì, grazie al cielo, e avete riposato placidamente tutta la notte. Ma voi permetterete all’amicizia qualche attenzione, sia pure esagerata. Non avevo sonno, del resto; potrei vegliare un’altra notte così.

— Già, e ti credi d’acciaio, tu! Povero ragazzo! — esclamò il signor Demetrio, con un sospiro. — Perchè l'hai lasciata andar via?...

— Io? — disse Virginio, sussultando.

— È vero, scusami, tu avevi ragione a fare quello che hai fatto; — riprese il signor Demetrio. — Essa voleva il suo conte.... E gliel'ho detto, sai? Virginio, soltanto Virginio è l’uomo fatto per te.

— Non parlate di ciò, ve ne prego; — disse Virginio, che quei ricordi facevano fremere. — Sono storie di mill’anni fa.

— No, non di mill’anni, ragazzo, di ieri. E tu ne soffri ancora, ne soffri sempre, poveraccio! Perchè io ti leggo negli occhi, sai? E non so perdonarmi di non avere insistito. E qualche volta, scusami ancora, non so perdonare a te di non avermi secondato un po’ meglio, di non aver tenuto fermo sulla promessa che ti avevo fatta, con tanta sincerità di amico e di padre.

— A che mi sarebbe servito? — esclamò Virginio. — Ma non ci pensate, vi supplico. Vedete? Non ci penso più io. Era un sogno, il mio, un sogno come il vostro. Si fanno alle volte di questi sogni, quando si ha il romanticisimo nelle ossa. Ma l’uomo è fatto per la vita e per le sue severe necessità, non per la poesia dei romanzi: l’uomo pensa, vede ciò che va fatto, e compie il