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do conosciuto il signor Bertòla, che gli era parso il re dei galantuomini. In verità, gli sapeva male che lo avessero ingannato a quel modo. Per tutta Modena il matrimonio del conte Spilamberti aveva fatto senso; anche là, senza aspettare la confessione del signor Bertòla, si era detto che il padre della ragazza gittava duecentomila lire nel pozzo di San Patrizio, il più famoso dei pozzi senza fondo. Nessuno riusciva ad intendere come il signor Bertòla, un negoziante, e perciò in fama di uomo avveduto, si fosse adattato a snocciolare i contanti, non restringendosi a passarne i frutti, magari all’interesse del cinque e del sei.

Qui Virginio obbiettava: si erano dati i contanti, ma contro buona garanzia, prendendo ipoteca sugli stabili del conte Attilio. Ah sì, l’ipoteca! e sugli stabili del conte! Bisognava sapere a buon conto che stabili fossero. Una bicocca, che domandava mille lire all’anno per rappezzarne i merli e racconciare i tetti alle torri; un palazzo in città, che fruttava seicento lire di pigioni, compreso il pian nobile: quanto alla terra, che era la parte buona del patrimonio, e si trovava sul territorio di Nonàntola, valeva certamente la sua riputazione, ma a conti fatti non più di centomila lire; e sulla terra, finalmente, come sul palazzo di città, come sulla bicocca di campagna, c’era un’ipoteca anteriore al contratto dotale.

Anteriore! di quanto? Di tre mesi almeno: così pareva al notaio di ricordare; ma si sarebbe potuto veder meglio. Del resto, che fosse anteriore, o di molto o di poco, non cascava alcun dubbio; tanto glien’era rimasta viva la memoria, per le gran ciarle che ne avevano fatte a Modena, giunto appena l’annunzio delle nozze di Mercurano.

Fu quello per Virginio un colpo di fulmine. Ma come? Nessuno aveva dunque veduto lo stato ipotecario del conte Spilamberti, prima di venire alla tradizione della dote? Come poteva esser ciò?

— Caro mio, — gli rispondeva il notaio, — è quel che si fa.... da certuni. Uno stato ipotecario,