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ora, in mezzo a tante spese obbligatorie e con tanti stabili che non fruttano. Veda i miei beni di Mercurano; quanto crede che io ne ricavi, con tutta l’apparenza che hanno?
— Non saprei, signor conte; mi dica piuttosto, Lei, quanto deve il conte Spilamberti?
— Eh, una bella sommetta. Ma in parte egli spera di riparare con forze sue. Per il resto bisognerebbe che lo aiutasse il signor Bertòla; ed io credo che un cinquantamila lire basterebbero.... per ora.
— Per ora! — esclamò Virginio. — C’è in vista dell’altro?
— No, ch’io sappia: ma Lei capirà; quando si è perduto ogni cosa, c’è ancora la necessità di vivere; e a questo bisognerà provvedere, se non si vuol fare altri debiti.
— Giustissimo; — rispose Virginio. — Ma.... e la dote di sua moglie?
— La dote? L’ha avuta in contanti, e i contanti vanno. Ella sa pure, signor Lorini, che il conte Attilio si era dato a speculare in Borsa. Dunque diciamo, una parte è andata a metter su casa, a viaggiare, a vivere un paio d’anni in modo conforme al suo stato; l’altra ha preso una via più pronta, più sbrigativa, come ho avuto l’onore di dirle. E badi, senza colpa di quel poveraccio; sono stati gli eventi, più forti di lui e di molti, che erano più ricchi, più solidi, più fortunati, di lui.
— Perdoni, non domandavo di questo; — riprese Virginio. — I contanti siano pure andati; ma la dote c’è sempre. Non era forse assicurata, la dote? Non aveva il conte dato ipoteca per duecentomila lire su tutti i suoi beni stabili?
— Certamente; — rispose il signor Momino. — Ma se su quei beni ci fossero state altre ipoteche?... Egli non era ricchissimo del suo patrimonio; ed Ella intenderà facilmente....
— Debbo intendere, — disse Virginio, vedendo che il signor Momino Sferralancia non pensava punto a risolvere la sospensione, — debbo intendere che il patrimonio del conte Spilamberti,