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spose Fulvia, ridendo ancora intorno ai due sacchi del babbo; — ci ha guadagnato, finora.
— Quanto, nel mese scorso?
— Ecco, nel mese scorso n’avrebbe piuttosto perduto che guadagnato.
— Ah vedi!
— Sì, un diecimila lire; ma siccome ne aveva guadagnate trentamila nel mese antecedente, non possiamo dire che abbia perduto.
— No davvero; — ripigliò il signor Demetrio; — ci ha ancora ventimila lire di benefizio. Ed è vero, questo?
— Verissimo; Tili mi racconta tutto quello che fa.
— Tutto? proprio tutto?
— Tuttissimo.
— Ebbene, tu mi consoli, figliuola; e Dio voglia che andiate sempre di questo passo. Io me ne partirò dunque col cuore tranquillo. —
Ma che bugiardi, quei novellieri del Corso! che lingue tabàne! Il signor Demetrio non intendeva che gusto ci trovassero ad inventarle così grosse. Per altro, se sua figlia lo avesse ingannato?... Se fosse stata ella stessa ingannata da quel bell’arnese di suo marito!...
Con questi dubbi nell’anima partiva il signor Demetrio da Roma. La sera prima della partenza, la sua Fulvia lo aveva condotto a passeggio per le vie interne della città, scendendo da piazza Barberini fino al Corso. In piazza di Trevi lo aveva fatto fermare davanti alla fontana; un luogo dove egli si trovava male, non potendo resistere all’incessante frastuono delle acque zampillanti. Ed anche lo aveva fatto scendere fino al margine della gran vasca, per costringerlo a gettare una moneta di due soldi nell’acqua.
— C’è la ninfa di Trevi, là dentro; — diceva ella. — Chi le paga il tributo è sicuro di ritornare.
— Che superstizioni! — esclamava il signor Demetrio.
— Superstizioni fin che vorrai; qui ci credono; — rispose Fulvia. — Chi vive a Roma, e vuol