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— Sì, grazie a Dio, non mi lagno.

— Beato voi, caro suocero! Di quanto avete già passato il milione?

— Non so; debbo vedere per l’appuntò i miei conti. Speriamo non abbiano a diventarmi marchesi. —

Con questa burletta il signor Demetrio Bertòla troncava il discorso del suo milione. Gli dava noia quel volergli fare i conti addosso; specie dopo certe antifone al Corso! Ah, se avesse potuto rispondere al suo riveritissimo genero: «non ci contare, sul mio milione: sono a due dita dalla rovina» gli sarebbe parso d’essere a nozze. Ma istintivamente pensò che con un discorso simile avrebbe fatta calar di prezzo la sua parentela, e chi n’avrebbe sofferto sarebbe stata la sua cara figliuola.

Rimasto quella sera a quattr’occhi con lei, volle interrogarla, sincerarsi a modo suo d’ogni cosa.

— Parto domani; — diss’egli; — ma posso almeno star sicuro di lasciarti contenta?

— Sì, babbo, salvo il dispiacere che mi dài colla tua risoluzione, contentissima.

— Attilio ti ama?

— Sì, sempre; perchè questa domanda?

— Per saperlo, che diamine! Scuserai la mia curiosità; ma essa è legittima in un padre.

— Non aver dubbi; — riprese Fulvia ridendo. — Tili è per me come il primo giorno del nostro matrimonio.

— Mi consoli; — replicò il signor Demetrio.

— E dimmi ancora; come vanno gli affari di tuo marito? Nella «Nuova Esperia» non è entrato, e forse è bene. Ma in Borsa, che fa? ci perde?

— Chi ti ha detto ciò?

— Nessuno; sai bene che non conosco nessuno e che non ho da parlar con nessuno. Domando semplicemente; non è lecito domandare? So che va in Borsa; e so pure che in Borsa ci si va con due sacchi, uno per prendere e l’altro.... per lasciare.

— Tili non ci ha ancora lasciato nulla; — ri-